COMBATTENTI AQUILANI NEL BATTAGLIONE “GARIBALDI” Riccardo Lolli

Nella guerra di Liberazione jugoslava operò più di una formazione italiana con la denominazione ispirata all’eroe del Risorgimento: la Brigata Garibaldi-Trieste, la Divisione Garibaldi-Natisone, entrambe nel settore della Slovenia-Venezia Giulia, la Divisione Italiana Partigiana Garibaldi, impegnata prevalentemente in Montenegro e Bosnia e il Battaglione Garibaldi, operativo in Slovenia Croazia Dalmazia.

Fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ricorda Giacomo Scotti, le imprese garibaldine erano state oggetto di ammirazione e riferimento ideale per i settori più attenti della popolazione jugoslava, nonché fonte di ispirazione per i letterati dell’epoca. Garibaldi ed i garibaldini erano infatti già noti ed amati in Jugoslavia per l’apporto dato alle locali lotte di liberazione dal dominio dell’impero ottomano. La stessa denominazione delle formazioni partigiane italiane intestata a Garibaldi era il frutto di una scelta condivisa con i comandi jugoslavi e in taluni casi addirittura da loro suggerita. Nel corso delle attività educative e culturali che punteggiavano i momenti di sosta dalle operazioni belliche del battaglione “Garibaldi” non era infrequente il riferimento all’eroe del Risorgimento; così, in occasione dell’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’impero Austro Ungarico il 24 maggio 1944, alla presenza del commissario politico del I Korpus proletario e del comandante della 1^ divisione “il battaglione ha cantato l’inno e la marcia dei garibaldini” durante la sosta a Grabez-Gromile, mentre il 20 febbraio il capitano Giancola aveva tenuto una conferenza su Garibaldi al battaglione acquartierato da oltre un mese a Divicani.

Il sulmonese Cesare Giancola, capitano dei Carabinieri della divisione fanteria “Bergamo”, è uno dei combattenti della provincia dell’Aquila impegnati in nella liberazione della Jugoslavia e la ricognizione che segue, nient’affatto esaustiva, intende ridare voce almeno ad una parte di quegli eroi sconosciuti che seppero, in un tornante quanto mai drammatico, compiere la scelta giusta, la difficile scelta per la libertà di un popolo sino ad allora considerato nemico.

Nelle convulse giornate seguite alla diffusione della firma dell’armistizio di Cassibile, in assenza di ordini inequivocabili e tempestivi, a Spalato 161 carabinieri, su iniziativa dei loro ufficiali, fra i quali è parte attiva il ventottenne capitano sulmonese Cesare Giancola, della divisione fanteria “Bergamo”, già decorato di croce di guerra, arrestato dagli slavi il 12 settembre e poi rilasciato, decidono di unirsi ai partigiani e costituiscono un reparto che, già dal 14 settembre, con il nome di battaglione “Garibaldi”, sarà subito impiegato contro i tedeschi. Oltre al loro capitano i carabinieri della provincia aquilana presenti in origine nella formazione erano Primo Ciocioni di Tagliacozzo, Annunzio Antonucci di Castel di Sangro, Tommaso Ciani di Capitignano, Davide Casasanta di Bugnara, Luigi Migliori di Pescina, Tullio Panone di Barisciano, Pietro Pietroletti di Rocca di Botte, Cosimo Sciarra di Cagnano Amiterno, ai quali andrà ad aggiungersi Giuseppe Pasquale di Prezza.

A tale reparto affluiscono man mano altri militari dispersi e sbandati in un’opera di reclutamento che vede impegnato Cesare Giancola, ben descritta da Salvatore Loi: «I capitani Elia e Giancola ed i subalterni Mambor e Tinto si impegnarono anch’essi in quella delicata – aggiungiamo pure fondamentale – attività[…]in combattimento assunsero tutti compiti di rilievo.» A Spinut il 13 settembre Giancola parla ai suoi carabinieri concentrati nella zona, invitandoli a seguirli per passare nelle file partigiane. I militari che aderiscono all’invito vengono accompagnati presso il Comando del Gruppo Carabinieri, dove si riarmano e si costituiscono in reparto e il giorno successivo vengono schierati, con il loro capitano a Salona per respingere l’avanzata delle truppe germaniche. Nella serata del 15 settembre Giancola è di nuovo a Spinut per conquistare altre adesioni alla causa partigiana e il 17 a Zrnovica, luogo del battesimo del fuoco per il battaglione. Attivo tanto sul fronte (Zrnovnica, Gata, Kostanje), quanto nelle brevi pause operative della vita interna del battaglione, formalmente inquadrato il 4 ottobre nella I brigata proletaria dell’EPLJ, a Giancola verrà affidata la responsabilità della compagnia comando, congiuntamente all’incarico di intendente generale. Sarà lui a commemorare il 4 novembre la vittoria sui tedeschi del 1918 e la conquista di Kiev da parte dell’Armata Rossa il 7 novembre, prima di partire in missione alla volta del comando di divisione a Donji Vakuf. L’8 dicembre assumerà le funzioni di ufficiale di stato civile e di direttore del giornale “Italia Nuova” e il 20 febbraio 1944 terrà la ricordata conferenza su Garibaldi. Sarà ancora protagonista sul campo in azioni belliche nel teatro bosniaco nella primavera del ’44.

L’alleanza fra partigiani slavi e militari italiani, sino ad allora protagonisti di una guerra caratterizzata da atrocità e ritorsioni, procedeva fra inevitabili difficoltà e i problemi che insorgevano nei rapporti fra militari italiani e partigiani slavi venivano puntualmente risolti secondo le decisioni assunte da questi ultimi: «I partigiani si arrogavano anche il diritto di decidere unilateralmente di assegnare ufficiali e soldati ad altre mansioni, se ritenuti poco affidabili o inadatti alla posizione». In uno dei vari riassestamenti organizzativi finì per rimanere coinvolto anche Giancola, che il Generale Koka Popovic, comandante della 1^ divisione proletaria dell’EPLJ, suggerì di allontanare con l’accusa di agire da comandante del battaglione. Invitato a rimpatriare, il capitano sulmonese, a differenza di altri, rifiutò ed accettò di redigere il diario storico.

Giunto alla periferia di Belgrado, dal 15 ottobre 1944 il battaglione “Garibaldi” cominciò ad essere rimpinguato da un afflusso continuo di prigionieri liberati dai campi tedeschi. Si trattava, per lo più, di militari arrestati in Grecia dopo l’8 settembre e trasferiti in territorio jugoslavo. E’ il caso, fra gli altri, del caporale Vincenzo Colaianni di Barisciano, Emidio Biasini di Bagno, Vittorio Mondazzi di Pratola, Quintino Flati di Sassa, Ivo Giovannucci di Sulmona, Antonio Maiale di Castelvecchio Subequo. Tutti combattenti ai quali era stata data l’opportunità del rimpatrio attraverso Dubrovnik, essendo la Jugoslavia meridionale ormai liberata dalla presenza delle truppe germaniche, e che scelsero, invece, di rimanere e impegnarsi per la liberazione definitiva del paese.

A fianco al battaglione “Garibaldi” operava il battaglione “Matteotti”, sorto nel novembre a Livno. Le due formazioni, nell’ottobre 1944 nella Belgrado ormai liberata, si fondevano nella brigata “Italia”, integrata da altri due battaglioni, “Mameli” e “Fratelli Bandiera”. Il fante Gildo Cerasani di Pescina partecipò alle operazioni di guerra in successione nei ranghi del “Matteotti”, del “Garibaldi” e del “Mameli”.

La figura di maggior prestigio fra i militari della provincia aquilana è senza dubbio il carabiniere Primo Ciocioni, fra i primi a prendere contatto a Spalato con i leaders locali croati della Resistenza il 9 settembre, concretatosi poi nella costituzione del battaglione “Garibaldi”; Ciocioni sarà fra l’altro protagonista di un’importante azione militare il 3 settembre 1944 a Viesegrad, diretta a consentire alla 6^ divisione di traghettare in sicurezza la Drina. Al comando di un plotone d’assalto attaccò sotto la pioggia un fortino occupato dai cetnici realizzato su di un vecchio monastero, riuscendo a conquistarlo, requisendo tutte le provviste e catturando una pattuglia di nemici. Dopo la liberazione di Belgrado verrà promosso sul campo e posto al comando del battaglione “Garibaldi” e, alla fine di giugno, quando la brigata “Italia”, dopo essere entrata vittoriosamente a Zagabria e aver sostanzialmente concluso le operazioni belliche, viene dimensionata in Divisione con quattro brigate, al tenente Ciocioni, autore di pericolose imprese coronate da successo sullo Srem e a Majdan nell’aprile del ‘45, viene affidato il comando della prima brigata.

Altri militari impegnati nella divisione “Italia” furono Francesco Celli di Ofena, Domenico Mastropietro di Balsorano, Archimede Mattei di Avezzano, Martino D’Amico di Barrea, Pasquale Spinosa di Sulmona, Romeo Tantalo di Villavallelonga e Domenico Rosatone di Prezza, Severino Ferella di Paganica, Antonio D’Angelo di Ovindoli. Quirino D’Alò di Luco dei Marsi, caporal maggiore del 94° Rgt fanteria, si distinse meritando sia gratificazioni di comando nella formazione partigiana che la croce di guerra al valor militare.

A guerra finita più di un combattente venne insignito di decorazioni al valor militare; primo fra tutti il carabiniere semplice Primo Ciocioni, promosso sul campo al grado di tenente e trasferito in spe (servizio permanente effettivo) al pari di Cesare Giancola, e poi insignito di medaglia di bronzo e d’argento, stella partigiana con fucili incrociati (riconoscimento dei comandi dell’Eplj equiparabile alla medaglia d’argento), e ordine al valore (anche questo conferito dai comandi dell’Eplj), Tommaso Ciani, medaglia d’argento «per la sua attività militare assieme ai partigiani nelle montagne Iugoslave».

Più della metà dei combattenti italiani perse la vita per la libertà del popolo jugoslavo, fra loro anche il fante Agostino Salucci di Collelongo, morto in Montenegro per lo scoppio di una mina, Giovanni Amadoro, fante di Luco dei Marsi, caduto in combattimento in Bosnia, Ernesto Micarelli, artigliere della frazione aquilana di Poggio S.Maria, Vittorio Mondazzi, artigliere di Pratola Peligna, morto in combattimento nell’alta Slavonia, Camillo Taglieri, tenente di Ortona dei Marsi, Annunzio Antonucci carabiniere di Castel di Sangro.

Il 20 maggio 1945 viene inaugurato nella Zagabria appena liberata, al cimitero di Mirogoj, il monumento al combattente italiano caduto per la liberazione. Molti partigiani garibaldini riposano in quello che è uno dei parchi monumentali più belli d’Europa, accolti da un sentimento di commossa gratitudine, che in molti dei loro connazionali fatica ancora ad emergere, consegnata nella pietra dell’epigrafe i cui estensori vollero restare anonimi:

«Compagno, quando vedrai mia madre dille di non piangere. Non sono solo. Giace al mio fianco un compagno jugoslavo. Che nessuno ardisca gettare fango sul sangue sparso nella lotta comune. Trovammo qui fede, madre, pane, fucile. I morti lo sanno. I vivi non lo dimenticheranno. Fiumi di sangue divisero due popoli. Li unisce oggi il sacrificio dei compagni migliori».
̈ *storico dell’Istituto Abruzzese di Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea